De-Marketing: quando l’obiettivo è non vendere

Il marketing, tradizionalmente, è visto come un’attività incentivante per le vendite. Riuscite ad immaginare una situazione in cui un brand, piuttosto che essere interessato a vendere, sia interessato a disincentivare l’acquisto? Parliamo di un processo chiamato de-marketing. Perché attivare una simile strategia? Quali sono i benefici? E i rischi? Scopriamolo insieme!

Cos’è il de-marketing?

Nel 1971 Sidney Levy e Philip Kotler pubblicano un articolo nella Harvard Business Review intitolato “Demarketing, yes demarketing”. 

Il de-marketing viene definito dagli autori come “quell’aspetto del marketing che si occupa di scoraggiare i clienti in generale o una certa classe di clienti in particolare su base temporanea o permanente”

Secondo gli autori, il concetto tradizionale di marketing, associato al ruolo di attività finalizzata all’espansione delle vendite, non è esplicativo di quella che è la sua reale funzione: creare equilibrio tra domanda e il livello di capacità gestibile dall’azienda. 

Un’altra definizione interessante del de-marketing arriva dal dizionario Websters: “il demarketing è l’uso della pubblicità per ridurre la domanda di un prodotto che scarseggia“.

Per comprendere meglio il concetto possiamo pensare al brand Patagonia

campagna pubblicitaria sul de-marketing di Patagonia che mostra un giubbino blu e la scritta

Con la sua campagna “Don’t buy this jacket” ha stravolto le regole del marketing disincentivando l’acquisto del prodotto. Una strategia apparentemente folle, ma con uno scopo che riflette in maniera puntuale la vision aziendale: preservare e proteggere l’ambiente. 

In entrambe le definizioni del concetto l’obiettivo è scoraggiare l’acquisto e l’uso dell’offerta, ma perché?

I diversi tipi di de-marketing

Le ragioni che spingono ad adottare questo approccio potrebbero essere diverse: esigenze di allineamento della domanda all’offerta, scoraggiare il consumo per ridurre l’impatto ambientale o mantenere l’esclusività del brand. 

L’obiettivo potrebbe anche essere quello di disincentivare l’acquisto di un prodotto per indirizzare i clienti verso altri prodotti, che magari hanno un costo più basso per l’azienda. 

Insomma, le ragioni potrebbero essere davvero tante, ma in tutti i casi il risultato, se la strategia funziona, è una riduzione della domanda. 

A ciascuna di queste ragioni è collegata una specifica tipologia di de-marketing, vediamole insieme!

De-marketing generale 

Questa tipologia è utilizzata quando le aziende si trovano a far fronte ad una domanda eccessiva dei loro prodotti. In questi casi l’obiettivo non è vendere di più, ma ridurre l’acquisto per tutti i clienti. 

Basti pensare al caso in cui la domanda è stata sottovalutata e le risorse a disposizione dell’azienda non sono sufficienti a soddisfarla. È quello che accadde alla Kodak negli anni 60’, quando introdusse la sua Instamatic, una macchina fotografica per tutti, semplice da utilizzare e dotata di caricatore. 

Il successo fu inaspettato e passarono anni prima che il brand riuscisse a bilanciare domanda e offerta. 

Ecco che il marketing, o meglio il de-marketing, interviene per contenere la domanda, evitando un impatto negativo sui clienti. 

De-marketing selettivo

Questa tipologia, invece, è utilizzata quando l’obiettivo del brand è di ridurre la domanda proveniente da specifiche classi di clienti, ritenuti non redditizi o poco fedeli. La riduzione di richiesta da parte di questi segmenti renderà l’offerta maggiore per quelle classi ritenute, invece, di interesse.

È quello che accade nel settore luxury, dove i brand sono interessati ad avere clienti fedeli e a mantenere alta l’esclusività dei propri prodotti. Raggiungono tale obiettivo rendendo i prodotti più difficili da acquistare per i clienti “indesiderati”, ad esempio attraverso una limitazione nella localizzazione dei punti vendita. 

De-marketing apparente

Come spiega il nome, l’azienda crea scarsità per ottenere dai clienti desiderio. La limitata disponibilità di un prodotto rende lo stesso “difficile da ottenere”, aumentandone il valore. Il cliente vive uno stato di ansia e agitazione finché non riesce ad ottenerlo. 

Il principio della scarsità e il demarketing apparente sono alla base di business di successo come quello del reselling

Strategie di de-marketing

A differenza delle strategie di marketing, quelle di de-marketing richiedono maggiore precisione e definizione dei dettagli. È possibile, altrimenti, che si ottengano risultati contrari a quelli sperati, se non si conoscono bene i comportamenti dei consumatori, le loro abitudini e che idea del brand hanno. 

Ecco perché esistono diverse strategie di de-marketing che, a seconda dei risultati desiderati, possono essere implementate. Vediamo quali sono e in cosa consistono!

Bait and switch de-marketing

Si configura come la strategia attraverso la quale l’azienda pubblicizza un prodotto in modo tale da attirare i clienti, per poi spingerli ad acquistare un altro prodotto più redditizio o di più bassa qualità

I clienti vengono in questo modo “adescati” e spinti verso il prodotto “switch”.

Questa pratica trae in inganno il cliente, attraverso stratagemmi di neuro-marketing,  con tecniche differenti, tra cui l’offerta lancio o la pubblicità ingannevole. Per questo motivo è considerata, nella maggior parte dei casi, illegale. 

Price discrimination de-marketing

Con questa strategia le imprese creano deliberatamente dei costi di transazione, ossia i costi relativi allo scambio, che spingono il consumatore a non cercare il prezzo più basso. In questo modo solo i consumatori disposti a sostenere quei costi di transazione concluderanno l’acquisto. 

Basti pensare a quando dobbiamo prenotare un viaggio e sappiamo che farlo in anticipo ci garantirà una tariffa più bassa. 

Stock outage de-marketing 

Con questa strategia le aziende creano artificialmente una carenza nelle scorte del prodotto, in modo da incoraggiare i consumatori all’acquisto. La promessa, spesso, è che quando il prodotto tornerà disponibile il cliente verrà avvertito; oppure, attraverso un pre-ordine, riceverà il prodotto non appena sarà disponibile. 

Come accennato in precedenza, la scarsità aumenta l’interesse e la disponibilità a pagare dell’acquirente.

screenshoot dell'app di zalando che invita il cliente ad inserire l'email per essere avvertito quando il prodotto tornerà disponibile

Ad esempio, Zalando prevede questo meccanismo di avviso, tramite email, per il cliente interessato ad un prodotto non più disponibile. 

Crowding cost de-marketing

Questa strategia viene utilizzata in determinati periodi dell’anno o giorni, come il Black Friday, durante i quali l’azienda si aspetta una richiesta maggiore. 

Il prezzo iniziale sarà più basso rispetto al prezzo al termine della giornata, quando la folla e la richiesta diminuiranno. Ci saranno alcuni clienti disposti ad accettare quel prezzo più alto per evitare lunghe file e affollamenti. 

Differential de-marketing

Attraverso l’utilizzo delle famose 4P del marketing è possibile disincentivare l’acquisto di un prodotto e spingere il cliente verso la concorrenza. 

Il motivo? Mantenere l’esclusività del brand oppure evitare le guerre di prezzo. 

Si potrebbe agire su:

  • Price, aumentandolo e scoraggiando all’acquisto i consumatori più sensibili; 
  • Product, rimuovendo garanzie e servizi accessori; 
  • Promotion, riducendo le promozioni e le offerte in relazione a quel prodotto; 
  • Place, limitando la disponibilità del prodotto in alcune aree geografiche. 

Le quattro P del marketing (e del de-marketing)

In generale, indichiamo con 4P l’insieme delle strategie di marketing e degli elementi del marketing mix che aiutano le aziende a raggiungere i propri obiettivi. 

Le 4P (Product, Price, Promotion, Place) creano volore attorno al prodotto/servizio commercializzato dall’azienda e ne agevolano la vendita. 

La loro efficacia, però, può essere anche sfruttata per l’obiettivo opposto: disincentivare alla diffusione/acquisto del prodotto. Diventano così anche strumenti del de-marketing. 

Un esempio lampante è la diminuzione nel consumo di vodka in Russia nell’ultimo decennio, grazie a numerosi interventi da parte del Governo. Putin avrebbe infatti ordinato una riduzione della produzione (product), incidendo  sulla reperibilità del prodotto che diventa più difficile da trovare (place). Generando un aumento  di prezzo che rappresenta un altro disincentivo all’acquisto e, infine, attraverso numerose campagne pubblicitarie si è cercato di far riflettere i consumatori sui danni di un consumo eccessivo. 

L’utilizzo delle 4P diventa, dunque, efficace anche quando l’obiettivo non è valorizzare un prodotto, ma ridurre l’interesse dei consumatori ad acquistarlo. 

I vantaggi del de-marketing 

Implementare strategie del genere richiede sforzi e competenze, ma può avere significativi vantaggi per l’attività di un brand: 

  • Preservare le risorse: un’azienda che non dispone di risorse a sufficienza per realizzare un prodotto è interessata alla sua decommercializzazione. L’obiettivo è ridurre la domanda finché le risorse non vengono ricostituite. Ad esempio, molti brand di ristorazione, per limitare il consumo della carta, sono passati ai menù digitali;
  • Brand exclusivity: le aziende di lusso usano le strategie di de-marketing per creare una carenza artificiale dei propri prodotti. L’obiettivo è limitare l’accesso al prodotto e creare un desiderio maggiore ad acquistare/pagare. Sono numerosi gli esempi di case automobilistiche che hanno realizzato modelli in edizione limitata e ad alto costo: tra questi l’Alfa Romeo 8C Competizione, di cui sono disponibili solo 1000 esemplari, o ancora la Ferrari F12 TDF, con soli 799 esemplari. 
  • Attrarre un target di clienti specifico: il risparmio di risorse potrebbe essere finalizzato anche ad attirare solo un certo target di clienti, quelli ideali. 
  • Maggiore controllo su costi e profitti: se i profitti collegati ad un certo prodotto non sono più soddisfacenti, il demarketing può ridurre la loro domanda e i relativi costi per la produzione. In questo modo l’azienda potrà concentrare attenzione e risorse sugli articoli più redditizi. 

Il de-marketing di Coca-Cola

Nel 2013 il noto marchio Coca-Cola diffonde un campagna pubblicitaria che diventa virale: 

Nel video si sottolinea l’impegno di Coca-Cola nel ridurre l’apporto calorico dei propri prodotti. L’offerta di Coca-Cola include circa 180 prodotti a basso contenuto calorico o senza calorie in nome dell’impegno dell’azienda contro malattie gravi, come l’obesità. Il brand non si discolpa dall’accusa che, molto di frequente, gli è stata mossa: aumentare il rischio di obesità, soprattutto nei giovani. 

Addirittura, lo stesso sito web di Coca-Cola Great Britain conferma che “Mangiare e bere troppe calorie, comprese le bevande analcoliche, può contribuire all’aumento di peso e all’obesità”. 

Questa a tutti gli effetti potrebbe apparire come un’auto-denuncia, ma ecco che il de-marketing, attuato da Coca-Cola, mostra i suoi reali obiettivi, assai lontani dal ridurre i profitti per il brand: “Per coloro che vogliono ridurre il loro apporto calorico, offriamo una varietà di bevande dal gusto eccezionale con zuccheri e calorie ridotti…Inoltre, sappiamo che alcune persone vogliono gestire le loro porzioni, quindi offriamo molte delle nostre bevande in una gamma di dimensioni. Forniamo anche informazioni sulle calorie per tutte le nostre bevande, in modo che le persone possano scegliere ciò che ha senso per loro e le loro famiglie”. 

Coca-Cola affianca all’obiettivo di disincentivare l’acquisto/consumo della bevanda tradizionale, quello di spingere i consumatori verso il consumo di altri prodotti del suo portafoglio. Si vende meno Coca-Cola, senza allontanare i consumatori dal brand, evitando un impatto negativo sui profitti.

Lo credevate possibile? This is de-marketing!

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